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Nick Mallett, Rovigo e la Nazionale

26 ottobre 2007

Dal Corriere del Veneto del 26/10/2007

Il nuovo ct dell’Italia ha giocato con i Bersaglieri nella stagione 1982/83

Mallett: ” Il mio anno a Rovigo e i derby di fuoco col Petrarca”

Il tecnico: la scelta del capitano è importante ma devo conoscere bene la squadra. Troncon nello staff? Prima bisognerebbe fare esperienze nei club o nelle giovanili

Appena arrivato a Rovigo ebbi modo di incontrare alcuni tifosi in piazza che mi spiegarono chiaramente i loro obiettivi: “quest’anno non siamo da scudetto, quindi ci interessa solo battere il Petrarca e che lo scudetto non lo vincano i padovani”. Al Battaglini perdemmo il derby di misura e dall’amarezza della gente capii quanto era importante quella partita per tutta Rovigo”. Nick Mallet, al telefono dal Sud Africa, si abbandona con piacere all’amarcord. Quando approdò alla Sanson era il 1982, nel pieno boom del rugby veneto e degli infuocati derby fra i proletari “bersaglieri” rossoblu e i più borghesi petrarchini in maglia nera. Quell’anno lo scudetto lo vinse però l’allora emergente Treviso dei tre Francescato, mentre Mallet, rocciosa terza linea, conquistava i tifosi rodigini soprattutto per lo straordinario orgoglio sfoderato in campo. Venticinque anni dopo, a conclusione di una complessa trattativa gestita dal procuratore mestrino Alessando Corbetta, torna ad incrociarsi con l’Italia il cammino di questo Sud Africano con due lauree di Oxford nel cassetto ed un curriculum prestigiosissimo da allenatore (fra gli highlights, un record di 17 vittorie consecutiva alla guida degli Springboks). Toccherà a Mallett il non facile compito di ricostruire una nazionale azzurra reduce dalla delusione dei mondiali con lampanti lacune di organico nei ruoli chiave e con un movimento debole alle spalle. “E’ una grande sfida per me, ne sono consapevole. Ma le sfide mi affascinano, più che farmi paura: le ho affrontate e vinte con il Saint-Claude, il False Bay, il Boland. L’Italia affronterà sempre squadre che la precedono nel ranking, la prima scommessa sarà far giocare la squadra sempre al massimo delle sue potenzialità.

Quali traguardi si propone?
“A breve termine vorrei che l’Italia fosse competitiva contro ogni avversario del sei nazioni, sconfitte di 30 punti non sono più accettabili. Nell’arco di due stagioni dobbiamo sviluppare nuovi giocatori soprattutto per la mediana e i trequarti, visto che nella conquista possiamo già lottare alla pari con tutti. Stranieri? Solo se sono dei fuori classe e se non ci sono alternative. Meglio costruire giovani italiani per il futuro. E con questi giocatori tentare di giungere ai quarti nei mondiali del 2011”

Chi sarà il capitano della sua Italia?
“E’ una questione che affronterò assieme allo staff ed alla squadra anche parlando con lo stesso Berbizier. Un capitano deve essere un buon comunicatore ed un uomo sincero ed integro, e deve avere la piena fiducia dei compagni. Ma prima di pensare ad una scelta così importante, voglio conoscere la squadra, capire le dinamiche fra i ragazzi.”


A quale ruolo nello staff azzurro pensa per Troncon?

“Non lo conosco ancora ma credo che un giocatore, seppur ottimo, debba fare delle esperienze di allenatore in un club o in una nazionale giovanile prima di affrontare delle responsabilità ad alto livello. Potrebbe avere un ruolo di raccordo fra squadra e staff, oppure formarsi a fianco dei tecnici.”


Quali ricordi conserva della sua stagione da giocatore a Rovigo?

“Fu una esperienza straordinaria, soprattutto fuori dal campo. Avevo 26 anni e terminata l’università seguii il consiglio di venire in Italia da parte di un caro amico che giocava a Parma, Dugald McDonald. Fabrizio Sintich mi diede una mano con la lingua e l’inserimento nella squadra allenata dallo scozzese McEwan fu molto rapido. Con me e la mia ragazza, oggi mia moglie, la gente di Rovigo fu splendida. Fu anche l’occasione per trascorrere dei giorni a Venezia e per visitare l’Italia, ogni trasferta significava vedere un’interessante città o anche solo nuovi paesaggi che scorrevano dal finestrino del pulman. Non posso dimenticare la febbre dei rodigini per il rugby, a cominciare naturalmente dal derby con il Petrarca. Dopo il successo si sentiva l’euforia dei tifosi, con la sconfitta la delusione era palpabile in tutta la città. In Sud Africa non avevo mai conosciuto un ambiente così appassionato.


Elvis Lucchese